Roberto
Ferri è nato a Taranto nel 1978.
• Intraprende gli Studi sulla pittura da autodidatta e una volta a Roma
approfondisce la ricerca sulla pittura antica, dai primi del 500 sino
agli ultimi anni dell’800, in particolare la pittura caravaggesca e dei
pittori accademici( David, Ingres, Girodet, Gericault, ecc.)
• Laureato con 110 e lode all’Accademia di Belle arti di Roma, corso di
scenografia, prima con il professor Gaetano Castelli, poi con il
professor Francesco Zito.
• Nel 2002 ha partecipato alla collettiva “Animali e Dei”. La mostra si
è tenuta nella galleria “Il Labirinto” di Roma.
• Nel 2003 la sua prima personale al Centro d’Arte contemporanea “Luigi
Montanarini” a Genzano di Roma, intitolata “Roberto Ferri e il sogno del
Parnaso”.
• Successivamente, la mostra “Angeli, Demoni, Miracoli e Arconti” nella
galleria “Il Labirinto” di Roma.
• Espone alla BNL di Roma per Telethon, dove tiene un’intervista per il
giornale “La Provincia” di Frosinone.
• Pubblicazione sul giornale “Italia sera” del disegno “L’Angelo
Sterminatore” per il racconto del critico e storico dell’arte Roberto
Maria Siena.
• Nel Luglio 2003 è vincitore del Premio di Scenografia “Antonio
Valente” II edizione, città di Sora.
Nello stesso anno tiene la sua Personale con relativa intervista sul
quotidiano “La Provincia”, RAI 3, Teleuniverso, I.T.R.
• Espone alla I edizione della “Notte Bianca” di Roma, presso
l’Accademia di Belle Arti.
• In occasione della chiusura della galleria “Il Labirinto” di Roma,
espone alla mostra “Roberto Ferri e la Luce del corpo”, curata dal
critico e storico dell’arte Roberto Maria Siena.
• Nel 2004 espone alla II edizione della “Notte Bianca” di Roma, presso
l’Accademia di Belle Arti.
• Nel Dicembre 2005 si inaugura la mostra di disegni presso la galleria
LoGu’s Arte di Roma.
• Cura la mostra di pittura del noto scenografo Gaetano Castelli alla
galleria “La Catena “ di Veroli “Gaetano Castelli, L’ artista che veste
l’ anima”.
• Partecipa alla 7ª edizione di “ IMMAGINARTEINFIERA”di Reggio Emilia.
• Dipinge il ritratto a papa Benedetto XVI ora a Palazzo della
Cancelleria Roma.
• Realizza il dipinto per la beatificazione del patrizio genovese ETTORE
VERNAZZA per il Convento “ Figlie di San Giuseppe di Genova”.
• Maggio 2006 la mostra di dipinti presso la galleria LoGu’s Arte e
presso la galleria IL CORTILE di Roma.
• Pubblicazione del dipinto “ Il Traghettatore” su “ La Strategia della
Pittura, scritti di critica d’ arte” di Roberto Maria Siena.
• Esposizione a Palazzo Vecchio di Firenze per TOSCANA FESTIVAL.
• Mostra di disegni a San Antonio - Texas – presso la Anarte Gallery.
• Pubblicazione sulla storica rivista di Roma “ Lazio Ieri e Oggi”.
IL CUSTODE DELLE
METAMORFOSI RIFLESSE
I nudi Sensi talvolta vedono troppo poco – ma allora sempre essi vedono
troppo.
Edgar Allan Poe
Enigmatica e solenne - come un’attrice severa perfettamente padrona
della scena - con quel tanto di eloquenza antica, ho incontrato per la
prima volta la pittura di Ferri con la sensazione di chi sbircia
attraverso le fessure della memoria.
Senza avere traccia di un passato di riferimenti immediati, in immediata
istanza, colloquiare con un immaginario fitto di inerpicati classicismi
è stato impegno spontaneo per non lasciarsi sedurre dalla materia
pittorica nobile e dall’impalcatura contorta e incordata dalla tensione
espressiva.
Il senso della pittura di Ferri si complica di fronte al rispecchiamento
delle fonti, che per contaminazione si mescolano attraverso impulsi
sovrapposti, come un flusso che ripercorre l’imperativo estetico di una
superficiale modernità, aggredendolo nella sua parte più scoperta:
l’astratto vacuo intellettualismo creativo .
Ed è un artista giovane e consapevole che si impone per la forza
istintuale e per il colloquio con l’immaginario, rasentando una
visionarietà sentita, vera, reale offuscata e relegata in uno specchio
sordo dal convenzionale iperrealismo ibrido dei media. Accento posto su
una traccia che ben si enuclea nell’implosivo strapiombo della mitologia
che accompagnò l’arte nel cammino simbolico e sensuale dell’Ottocento
romantico, mentre il dissidio Ragione-Natura anticipava la disagiata
condizione dell’oscura regione mentale nelle rarefatte visioni di Füssli
o di Blake.
E’ come se nei soggetti pittorici la fisicità prorompente, appagandosi
di solipsismo e carezzando l’immagine, tracciasse quell’”unità di
effetto” , amplificazione dell’allucinatorio, matematicamente calcolata
nella mira dell’ago, come ha scritto Manganelli a proposito di Poe .
Sublimazione della paura e dell’orrido nella metamorfosi estetica ed
elemento narrativo che porge l’iniziale ed incerta scelta elementare:
l’Angelo, Orfeo, Giasone o lo stesso paziente inflazionato Nazareno,
sottoposto a pose estenuanti, spirituale bellezza divina amata
attraverso il feticismo dell’ incarnazione.
Iter da visionario che immagina quanto la forma possa dialogare con la
memoria attraverso l’eloquenza di un barocchismo ramificato nel sogno
romantico e decadente, mentre l’alter ego estetico dell’immagine si
impone attraverso il complesso meccanismo del disegno e nel tratto
delicato dell’accademia, attraverso una sensualità che spiana la strada
al colore che si raddensa sospeso nella sua stessa autocontemplazione.
C’è una nostalgia scoperta che ripercorre la nostra percezione
incamminandola verso la memoria: è un gioco da maestro, che conosce gli
incantesimi dell’arte. Invitante confronto con l’instabile
inafferrabilità di Narciso.
L’inquietante affiora attraverso l’impulso estetico denso di tensioni
sensuali mentre la stessa amplificazione riflessa dall’effetto realista
della forma piena e appagante, simula un vero che non sarà se non nel
desiderio profondo, che travolge e annienta. E’ non solo passione di
fare arte, ma anche di raccontarla nella sua immensa infinita parabola.
E’ per questo che certe asprezze si rivelano immediatamente: quasi a
confondere se stesso attraverso i rimandi in cui a volte perde la strada
e che lo tramuta in adulatore di un Caravaggismo esteriorizzato, eco ed
involucro sedimentato a rovescio per vizio di realismo; non lacerazione
della memoria, pietrificata nei meccanismi arcani che segnano il tempo,
angoscia dei passi perduti.
In un disegno, il Custode rivolgendo verso il piano soglia dello
spettatore la cuspide rovesciata della cornice cesellata dello specchio,
offre come negativo della realtà un’immagine che si riflette in
positivo, legata alla sottile catena di un’urna accuminata, sospeso
nella metamorfosi di un elegante manierismo.
Ma cosa protegge? Di certo l’ identità celata dalla Metamorfosi:
sovrapposto sperimentarsi, enigma mentale che sposta la realtà sul
versante simbolico nascondendo le sue tracce. Incubo o memoria?
La chiave d’accesso è in un confronto con Poe, pensiero poetico chiaro e
denso, aspro e tagliente come il granito. Eco riverberato nell’eterno
dilemma sogno-visione, per indirizzarci verso una strada in cui,
Noi procediamo in mezzo ai destini della nostra esistenza mondana,
circondati da oscure ma sempre presenti memorie di un più vasto destino
– lontanissimo, in un tempo trascorso, e tremendo, infinitamente.
Noi viviamo una giovinezza affollata di codesti sogni; e tuttavia mai li
fraintendiamo per sogni. Sappiamo che sono memorie.
Possibile risoluzione dell’enigma: dolce passaggio verso il presente
imperativo dell’immaginario artistico.
La Maddalena 14.09.2006 Cesare Terracina

RITORNO ALLA PITTURA:
LE TELE INQUIETANTI DI ROBERTO FERRI
“La bellezza che uccide il tempo ”. Sulla grande tela che si staglia
nella tana in penombra di Lorenzo Guredda è iscritta la parabola
concettuale di un giovane dal grande talento, Roberto Ferri: 27 anni
all’anagrafe ma una confidenza col pennello propria di un artista uscito
dalle grandi botteghe rinascimentali italiane.
La donna trionfante nella prorompente nudità delle sue forme giovanili
si china pronta a trafiggere il laido vecchio prono ai suoi piedi in un
trionfo che è destinato a durare lo spazio di un mattino.
“ Com’è bella giovinezza che si fugge tuttavia…”. Forte degli
insegnamenti di un maestro illuminato quale Angelo Poliziano lo stesso
Lorenzo il Magnifico conosceva bene la precarietà del trionfo sul tempo
ed il peso delle rughe che, anno dopo anno, si depositano tra le pieghe
dell’anima.
Il quadro è dunque una provocazione. La bellezza non potrà mai uccidere
il tempo; quelle carni ora sode e rilucenti saranno destinate
inesorabilmente ad appesantirsi prima ed avvizzire poi. Il laido vecchio
alla fine avrà la sua vendetta… . E’ tutto destinato a finire dunque?
C’è un altro significato più sottile e nascosto, ci dice il pittore, che
può riaprire la porta alla speranza: è la “Bellezza”. Nelle tenebre che
avvolgono questa nostra povera umanità sofferente potrà forse bastare,
come il guizzar di fiamma, il ricordo di un attimo di pura, accecante,
perfetta bellezza a rendere la vita degna di essere vissuta.
Sul lato opposto della parete un’altra tela di grandi dimensioni cattura
lo sguardo in un sentimento misto di attrazione-repulsione. “ Amor volat
undique ”recita il titolo, ma la scena è di una crudezza esasperata in
bilico tra bellezza e dissoluzione. Contro il telaio scardinato di una
porta finestra si appoggia di schiena, in uno slancio ascensionale,
l’avvenente figura di una giovane donna nuda, mentre, con una torsione
della mano sinistra, tenta di conficcarsi dietro la spalla l’acuminata
punta di una lunga penna. La donna però non è sola. Un uomo (demone?)
dall’incarnato più scuro la trattiene avvinghiandola strettamente tra i
glutei e la schiena e là, dove le dita affondano nelle morbide carni
della fanciulla, la pelle diafana imputridisce. Sulla destra una testa
mozzata e sanguinante va liquefacendosi, mentre dalla sua sommità
fuoriesce un cespo di bianchi gigli… .
Angeli e demoni, purezza e putrefazione aspirazioni spirituali e vincoli
della carne… molti sono i richiami e le allusioni evocati dall’artista
in un sottile gioco di rimandi , il tutto all’interno di un’ iconografia
che richiama alcuni grandi capolavori del passato. Come non vedere nello
slancio ascensionale della giovane trattenuta dalla soffocante stretta
una citazione del gruppo scultoreo Il ratto di Proserpina del sommo
Bernini al Museo Borghese o dei tanti dipinti che in epoca classica
hanno raffigurato il mortale abbraccio di Ercole ad Anteo. Valga per
tutti la splendida tela del Tiepolo di Palazzo Sandi a Venezia dove il
pittore, pur nel ridotto spazio di cui dispone, dispiega
un’irrefrenabile forza inventiva facendo palpitare la luce anche nelle
zone d’ombra fino ad esaltarla sulle sete delle vesti, sulle carnagioni
diafane, sui muscoli guizzanti.
Ma voler confinare Roberto Ferri ad un mero citazionismo dell’arte
classica sarebbe del tutto ingeneroso e riduttivo nei suoi confronti.
Bellezza e “ cupio dissolvi ”,eros e thanatos, il progressivo
disfacimento della materia organica nel lento trascorrere del tempo:
sono questi i motivi conduttori della sua ricerca, reinterpretati
attraverso il ricorso al mito. “Carnalità e rarefazione; sangue e
trasparenza” trovo annotato nel mio blocco d’appunti la prima volta che
ho visto esposti i suoi dipinti. Il tutto al servizio di una tecnica
pittorica raffinata che sposa i tagli di luce radente Caravaggeschi alla
perfezione del segno della grande scuola emiliana del Seicento (
Carracci, piuttosto che Reni; Guercino e Gentileschi piuttosto che
Lanfranco o Domenichino ), senza peraltro trascurare tutto quello che
viene dopo a cominciare dai validissimi e bistrattati pittori accademici
dell’Ottocento Romano usciti dalla scuola illuminata di Tommaso Minardi
( penso a Fracassini, Mariani, Grandi etc.).
Ma non si ferma qui. Roberto da vero figlio del nostro tempo rifugge,
come ho già detto, da una pedissequa imitazione del passato: la sua
pittura dimostra di aver assimilato la lezione del più geniale e
controverso ricercatore di tutto il Novecento: Sigmund Freud.
Con la dimensione dell’inconscio Freud ha amplificato il potere di
estensione della mente sino ad includervi l’ignoto. Mostrando a ciascuno
di noi quanto peso rivesta ciò che trascende l’ego, ci ha insegnato che
la vita va vissuta nel dubbio e nell’apertura all’immaginazione,
accettando con umiltà i limiti dell’io.
“ Nelle certezze granitiche dell’ego e senza le salvifiche incrinature
del dubbio – avverte Leonetta Bentivoglio – si arriva ad una sorte di
dimensione paranoica e malata, la stessa a cui oggi tende la nostra
società ”.
L’altra scoperta fondamentale di Freud riguarda gli influssi del mito
sulla psiche umana. Uscire dal buio dello sguardo, cercare di scoprire
chi siamo, è il primo atto di sconfitta dell’inconsapevolezza. “
L’analisi - prosegue la Bentivoglio - mira ad aprire gli occhi del
paziente, in modo che egli scruti con chiarezza la propria vita, come un
campo di proiezioni inconsce. La psicologia ci mostra i miti in vesti
moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia in vesti antiche ”.
Sarebbe difficile trovare un miglior commento alle tele di Roberto
Ferri. I miti raffigurati dall’artista sono altrettanti viaggi nella
profondità dell’inconscio , chiavi interpretative di porte che la mente
è timorosa a spalancare.
Nascono così opere come Apollo e Dafne, La Musa Inquieta, La Nascita di
Venere, L’Antico Enigma, De Profundis Clamavi, Sfinge , etc. dove il
pittore si misura provocatoriamente con il mito, con risultati
profondamente inquietanti ma sempre ineccepibili dal punto di vista
tecnico.
Dopo tanti “ ismi ”, tante provocazioni, performance di vario tipo,
combustioni, videoistallazioni e quant’altro, si sentiva prepotente il
bisogno di un ritorno alla vera pittura. Certo qualche cosa va limato,
la materia magmatica dell’inconscio merita ulteriori approfondimenti.
Nei tempi accelerati nei quali la velocità della comunicazione ci
costringe a vivere ( il fatto appena accaduto diventa immediatamente
passato ), si avverte il disperato bisogno di una pausa, un momento di
riflessione. Roberto Ferri ci ha offerto quest’occasione.
D’accordo è ancora tanto giovane, ma il tempo è dalla parte sua. Quello
che ci ha fatto vedere sinora merita, credo, un atto di incondizionata
fiducia.
Maurizio Berri
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