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Modigliani Amedeo:
Nato a Livorno nel 1884 e scomparso nel 1920 a Parigi.
A Livorno studiò con Guglielmo Micheli, allievo di
Giovanni Fattori" fu poi
alle scuole di belle arti di Firenze (1902) e di Venezia (1903),
risentendo le suggestioni dello Jugendstil, della cultura figurativa
secessionista, di "Gustav Klimt".
Nel 1906 si stabilì a Parigi. Era il periodo dell'esplosione "Fauve" e
della nascita della pittura "Cubista": tali esperienze d'avanguardia
furono utilizzate da Modigliani, unitamente alla fondamentale lezione
cézanniana, per la definizione di uno stile che si sarebbe sviluppato in
termini estremamente personali e caratterizzati. Va tuttavia
sottolineato anche il ruolo, non meno decisivo, della sua prima e
disorganica formazione letteraria, legata a una cultura postromantica e
decadente: essa contribuì a fare di lui soprattutto l'estremo «erede e
liquidatore» della tradizione ottocentesca, tra recupero classicista e
tardo
romanticismo. A Parigi Modigliani fu influenzato da
"Henri de
Toulouse-Lautrec" "Paul Gauguin"
"Vincent Van Gogh" e soprattutto da
"Paul Cézanne"
da cui riprese quella costruzione delle figure per grandi masse
cromatiche che si avverte già in opere del 1909 come "Il mendicante di
Livorno" e "Il suonatore di violoncello" (entrambe a Parigi, Collezione P.
Alexandre). Dopo un breve soggiorno italiano, nel 1909 Modigliani si
stabilì definitivamente a Montparnasse. È il momento dell'amicizia con Constantin Brancusi, della comune scoperta della scultura negra e della forza
espressiva e ritmica della linea: messa da parte la pittura, Modigliani
si dedica intensamente al disegno e alla scultura. Scolpisce in pietra
"Teste" che risentono anche suggestioni della plastica greca arcaica, 1912, Parigi, Musée National d'Art Modern e New York, Museum of Modern
Art e disegna una serie di "Cariatidi" che traduce poi in un'unica
scultura, 1913-14, New York, Museum National of Modern Art.
L'esperienza della scultura è un passaggio chiave per l'individuazione
della funzione costruttiva della linea, determinante nella pittura di
Modigliani dopo il 1914. Tra il 1915 e il 1920 l'artista eseguì la parte
più consistente e più nota della sua opera; quasi esclusivamente
ritratti, con l'eccezione di alcuni "Paesaggi" dipinti durante un
soggiorno a Nizza tra il 1918 e il 1919. Tra i ritratti sono da
ricordare quelli degli amici "Max Jacob" 1916, Dusseldorf, Kunstsammlung
Nordrhein-Westfalen, "Paul Guillaume seduto" 1916, Milano, Museo
Civico d'Arte Contemporanea, "Jacques Lipchìtz e la moglie" 1917, Chicago, Art Institute e di personaggi anonimi "Contadinetto"
1918, Londra, Tate Gallery, "Juan
Gris" 1915, Metropolitan Museum of Art, New York, "La giovane cameriera" 1918, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, NY, i nudi di modelle "Grande
nudo" 1917, New York, Museum of Modern Art "Nudo sdraiato a
braccia aperte" 1917, Milano, collezione privata, "Nudo
disteso di schiena" 1917,
Barnes Foundation, Merion, Pa. e la serie dedicata a "Jeanne Hébuterne"
1918, Berna, collezione, privata; 1919, Los Angeles, Neil Simons
Collection, 1919, New York, Guggenheim Museum e a "Anna Zborowska"
1917, New York, Museum of Modern Art, 1917, Roma, Galleria Nazionale
d'Arte Moderna; 1919, Parigi, collezione privata. Se gli ultimi tre anni
di vita (1917-1920) furono i più sofferti della sua disordinata
esistenza, Modigliani concepì e realizzò proprio in questo suo ultimo
tempo le opere maggiori della sua arte personalissima. La fortuna
critica di Modigliani crebbe rapidamente dopo la sua morte e fu
definitivamente consacrata con la grande mostra alla Biennale veneziana
del 1930.
"Beatrice Hastings"
The Barnes Foundation. Merion. Pennsylvania. USA.
"Ritratto di L. Zborowski" Barnes Foundation, Merion, PA.;
"Ritratto di Soutine" Staatsgalerie, Stuttgart;
"Ritratto di Kisling" Pinacoteca di Brera, Milano;
"Ritratto di Jeanne Hébuterne" Barnes Collection, Merion, Pennsylvania;
"Lolotte" Museo Nazionale di Arte Moderna. Centro Georges Pompidou. Parigi. Francia.
Amedeo Modigliani,
testo di Jacques Lipchitz*
Per qualche strana ragione, quando penso a
Modigliani, lo associo sempre alla poesia. Forse perché gli fui
presentato dal poeta Max Jacob o perché quando Max ci presentò, fu nel
1913 a Parigi nei giardini del Lussemburgo, Modigliani cominciò
improvvisamente a recitare a memoria la Divina Commedia con quanto fiato
aveva in gola? Ricordo che, pur senza capire una parola di italiano, fui
affascinato dal suo impeto melodioso e dalla sua bellezza: appariva
aristocratico anche nei logori abiti di velluto a costa. Ma ancora molto
tempo dopo che l'ebbi conosciuto, Modigliani ci sorprendeva spesso,
talora nei momenti più impensati, con il suo amore per la poesia.
Ricordo una scena avvenuta una notte
(dev'esser stato nel 1917) molto tardi, potevano essere le tre del
mattino. Fummo improvvisamente svegliati da un terribile colpo alla
porta. Aprii, era Modigliani, evidentemente ubriaco fradicio. Con voce
malferma cercò di spiegarmi che ricordava di aver visto sul mio scaffale
un volume di poesie di François Villon e che avrebbe desiderato averlo.
Accesi la lampada a petrolio per cercare il libro, sperando che se ne
andasse e mi lasciasse dormire.
Ma mi sbagliavo; si sistemò in una poltrona
e cominciò a recitare a voce alta.
Vivevo in quell'epoca in rue du Montparnasse 54, in una casa abitata da
gente che lavorava, e ben presto i miei vicini cominciarono a battere
alle pareti, al pavimento, al soffitto della mia stanza gridando: «
Piantatela con questo baccano! » La scena è ancora viva nella mia mente:
la piccola stanza, l'oscurità della notte inoltrata interrotta soltanto
dalla misteriosa, vacillante luce della lampada a petrolio, Modigliani
ubriaco, seduto come un fantasma sulla poltrona, che recitava
imperterrito Villon a voce sempre più alta, accompagnato da un'orchestra
di colpi tutt' attorno alla nostra piccola cella. E non si fermò che ore
dopo, quando fu esausto.
Discutevamo spesso di poesia, Baudelaire,
Mallarmé, Rimbaud e quasi sempre egli recitava a memoria qualche loro
verso. Il suo amore per la poesia mi commuoveva, ma ancor più ammiravo
la sua memoria veramente eccezionale.
Ora però, quando ripenso al momento in cui incontrai per la prima volta
Modigliani nei giardini del Lussemburgo, non posso dissociare quella
scena stupenda il tramonto parigino e il bellissimo verde attorno a noi,
dalla tragica fine di Max Jacob, meraviglioso poeta e amico delicato.
Quando seppi delle sofferenze di Max nel campo di concentramento di
Drancy durante il primo periodo dell'occupazione tedesca in Francia,
quando lessi della sua morte lenta e dolorosa su un sudicio pavimento
tra altri martiri, la scena dei giardini del Lussemburgo mi tornò viva
alla mente.
La Divina Commedia recitata da Modigliani e l'inferno sofferto da Max
Jacob formano insieme un'immagine patetica, appropriata a una
rievocazione di Modigliani. Anch'egli seppe cosa sia soffrire. Fu malato
di tubercolosi e ne morì; soffrì la fame e la povertà. Ma fu in pari
tempo una natura ricca, veramente degna di essere amata, dotata di
talento, sensibilità, intelligenza e coraggio.
Ed era generoso, perfino prodigo, dei suoi
doni che disperse sconsideratamente al vento di tutti gli inferni e
paradisi artificiali.
Prima di essergli presentato, avevo visto spesso Modigliani nei caffè e
per le strade di Montparnasse. Un mio amico, il pittore e poeta
triestino Cesare Sofianopulo, che fu mio compagno di studi all'Académie
Julian nel 1911 e di cui feci il ritratto in quell'epoca, mi ricordava
in una lettera di poco precedente la seconda guerra mondiale che anche
Modigliani veniva a scuola con noi. Ma non me ne rammento affatto. La
prima volta che c'incontrammo fu quando Max Jacob ci presentò, e
Modigliani mi invitò nel suo studio alla Cité Falguière. In quell'epoca
si dedicava alla scultura e, com'è naturale, ero specialmente curioso di
vedere le sue opere.
Quando arrivai nel suo studio, era primavera o estate, lo trovai che
lavorava all'aperto. Alcune teste di pietra, forse cinque, stavano sul
pavimento di cemento nel cortile davanti al suo studio, ed egli cercava
di adattarle l'una all'altra.
Lo vedo come fosse oggi, chino sulle sue teste, assorto a spiegarmi che
le aveva concepite tutte come parti di un insième. Mi sembra che queste
teste siano state presentate poco dopo, nello stesso anno, al Salon
d'Automne, disposte a scala come le canne di un organo per meglio
esprimere quel senso musicale che egli desiderava.
Modigliani, come molti altri a quell'epoca, credeva fermamente che la
scultura fosse malata, che si fosse gravemente ammalata con "Rodin" e
l'influenza che egli aveva esercitato. Si modellava troppo in argilla,
c'era "troppo fango". L'unico mezzo per salvare la scultura era di
ricominciare a intagliare, a intagliare direttamente nella pietra.
Avemmo discussioni molto accese su questo argomento, perché io non
credevo affatto che la scultura fosse malata e nemmeno credevo che
intagliare direttamente la pietra, potesse per se stesso risolvere
qualche cosa. Ma era impossibile rimuovere Modigliani: egli era
tenacemente convinto di quello che affermava. Aveva visto molte opere di
Brancusi, che abitava vicino, e ne subiva l'influenza. Quando parlavamo
dei diversi tipi di pietra, pietre dure e pietre dolci, Modigliani
diceva che la pietra in sé non faceva molta differenza; quello che
importa è dare alla pietra intagliata il senso della solidità, e questo
non può farlo che lo scultore: indipendentemente dalla pietra che usano,
molti scultori danno alle loro opere un'apparenza di morbidezza, mentre
altri possono usare anche le pietre più dolci e ottenere tuttavia
un'impressione di solidità.
La sua opera plastica mostra come egli
concretò quest'idea. Era caratteristico di Modigliani parlare così. La
sua era un'arte di sentimento personale. Lavorava con ardore, schizzando
un disegno dopo l'altro senza fermarsi a correggere o a riflettere.
Sembrava che lavorasse mosso esclusivamente dall'istinto, che aveva
tuttavia assai fine e sensibile, dovendo forse molto all'eredità
italiana e al suo amore per la pittura dei primi maestri del
"Rinascimento". Non cessò mai di essere attratto dalla gente e la
ritraeva, per così dire, con abbandono, incalzato dall'intensità del
sentimento e della visione. Per questo Modigliani, benché ammirasse
l'arte negro-africana e le altre parti primitive al pari di ciascuno di
noi, non ne fu mai profondamente influenzato, come non lo fu dal
"Cubismo". Ne derivò certi tratti stilistici, ma non fu mai toccato dal
loro spirito. Provava un godimento immediato per le loro forme nuove e
strane, ma non poteva permettere che l'astrazione interferisse nel
sentimento e si frapponesse tra lui e i suoi soggetti. Per questo i suoi
ritratti sono così vivacemente caratterizzati, i suoi nudi così
sensualmente schietti.
Vorrei ricordare qui altri due pittori la
cui opera influenzò lo stile di Modigliani, anche se raramente sono
posti in relazione con lui: "Toulouse-Lautrec" e Boldini, che ebbe fama di
essere uno dei più eleganti e ricercati ritrattisti d'Europa. Se le
convinzioni di Modigliani erano forti, altrettanto lo erano il suo
orgoglio e il suo coraggio, che rasentavano quasi la temerarietà. Vorrei
ricordare un episodio ben noto che illumina questi tratti del suo
carattere. Modigliani non era fisicamente robusto; un giorno
tuttavia, in un caffè, attaccò da solo un gruppo di monarchici, che in
Francia sono noti per il loro militaresco coraggio. Volle affrontarli
perché li aveva sentiti sparlare degli ebrei in modo offensivo.
Modigliani naturalmente era conscio della sua condizione di ebreo e non
poteva sopportare nessuna critica ingiusta su tutto un popolo. Non era
mosso da motivi politici o d'altro genere: era semplicemente un tratto
innato della sua personalità, una tendenza molto caratteristica della
sua natura, comprensibili data la sua provenienza da un'antica famiglia
italo - ebrea. La madre discendeva dal grande filosofo Spinoza: sentii
spesso Modigliani parlare di lei con adorazione e rispetto.
Il suo giudizio critico sulle arti
plastiche era molto acuto. Fu lui ad aiutare il pittore "Chaim Soutine"
che a quel tempo era noto soltanto a qualcuno di noi: e riuscì a
convincere "Leopold Zborowski" che era il suo mercante, a interessarsi
all'opera di "Soutine". Poco prima di morire già molto malato, Modigliani
disse a
Zborowski: "Non ti preoccupare, in "Soutine" ti lascio un uomo di
genio." Per comprendere meglio questa frase, è necessario conoscere più
a fondo i rapporti che correvano tra Modigliani e il suo mercante.
Agli inizi della prima guerra mondiale
"Leopold Zborowski" un poeta polacco povero ma innamorato dell'arte, si
affannava a guadagnarsi da vivere nell'affamata Montparnasse. Comprava e
rivendeva libri e con il poco che guadagnava grazie a queste operazioni
acquistava quadri, dapprima dal suo vicino e amico "Kisling" finché, su
consiglio di "Kisling" cominciò a trattare con Modigliani.
"Kisling" fu
sempre un buon amico di Modigliani. Vidi spesso Modigliani lavorare
nello studio di "Kisling" servendosi dei suoi modelli e anche del suo
materiale, e incontrandovi la molta gente che veniva a trovare "Kisling"
compagno generoso e cordiale. A poco a poco "Zborowski" fece fortuna con i
suoi pittori; divenne noto come il mercante di Modigliani, la cui opera
si rivelò negli ultimi anni una buona fonte di guadagno. Per questo
Modigliani, sentendo avvicinarsi la fine prematura, disse a "Zborowski" di
non preoccuparsi perché gli lasciava "Chaim Soutine" un pittore di genio.
I vincoli che legavano Modigliani e "Zborowski" sono un esempio notevole
dei rapporti quasi familiari che esistevano tra molti artisti e i loro
mercanti nella Parigi di quell'epoca. Non tutti i mercanti erano
sfruttatori e aguzzini. E la stessa cosa vale per alcuni collezionisti,
che non pensavano affatto ad investimenti quando compravano un quadro o
una scultura. Alcuni amavano veramente l'arte, come l'affascinante M. du
Tilleul a cui Modigliani fece un bellissimo ritratto, o Alphonse Kann
che tremava allorché veniva a trovarmi nel mio studio. Restava talmente
colpito quando vedeva per la prima volta qualche nuova scultura, che non
se ne andava senza portarsela nella sua meravigliosa casa. E come questi
due, molti altri avevano per l'arte un amore genuino.
Nel 1916, avendo appena firmato un
contratto con il mercante Leonce Rosenberg, avevo un po' di denaro. Mi
ero sposato da poco, e mia moglie ed io decidemmo di chiedere a
Modigliani di farci il
ritratto. « Il mio prezzo è dieci franchi per
seduta e un po' di liquore, » mi rispose quando glielo chiesi. Il giorno
seguente venne da noi e fece una quantità di disegni preliminari, uno
immediatamente dopo l'altro, con rapidità e precisione impressionanti.
Finalmente fu decisa la posa, ispirata alla fotografia delle nostre
nozze.
L'indomani all'una Modigliani arrivò con una vecchia tela e la scatola
dei suoi arnesi, e cominciammo a posare. Lo vedo ancora chiaramente:
seduto di fronte alla tela che aveva collocato su una sedia, lavorava
tranquillo, interrompendosi solo di quando in quando per bere un sorso
di liquore dalla bottiglia che aveva accanto. Ogni tanto si raddrizzava
e gettava un'occhiata critica sulla sua opera e osservava i modelli.
Alla fine della giornata disse: "Bene, penso che sia finito"
Guardammo il nostro ritratto che in effetti era finito. Ma allora ebbi
qualche scrupolo a trattenere il quadro al modesto prezzo di dieci
franchi: non avevo previsto che potesse fare due ritratti su una sola
tela in un'unica seduta. Gli chiesi perciò se non voleva continuare a
lavorare ancora un poco alla tela, inventando pretesti per altre sedute.
"Sai" dissi "noi scultori desideriamo più
sostanza." "Bene." rispose. "se vuoi che lo rovini, posso continuare."
Ricordo che gli ci vollero quasi due settimane per terminare il nostro
ritratto, probabilmente il tempo più lungo che egli abbia mai impiegato
per un quadro.
Questo ritratto rimase appeso in casa mia per molto
tempo, finché un giorno chiesi al mio mercante di rendermi alcune
sculture in pietra che sentivo non essere più rappresentative. Mi
domandò più denaro di quanto potessi permettermi, e non mi restò che
offrirgli in cambio il ritratto di Modigliani, che a quell'epoca era già
morto. Quegli accettò, e non appena riebbi le mie sculture le distrussi.
E così il ritratto finì nella raccolta dell'Art Institute di Chicago.
Due anni più tardi, nel 1922, il grande
collezionista americano Albert C. Barnes scoprì Modigliani e "Soutine".
Nell'appartamento di "Zborowski" in rue Joseph Barat 3, Barnes comprò
molte loro opere. Ricordo benissimo quella giornata, che destò tanto
scalpore a Montparnasse e rimarrà negli annali della storia dell'arte.
Da allora i due amici, Modigliani e "Soutine" cominciarono ad avere fama
internazionale. Nel 1951 il Cleveland Museum of Art li riunì, molto
appropriatamente, in una splendida mostra collettiva.
Negli ultimi anni della sua vita Modigliani si affezionò sempre più a
"Soutine" che aveva solo un piccolo studio, ma era sempre pronto a
dividere con l'amico quello che aveva. La salute di Modigliani era ormai
completamente rovinata, gli accessi di tosse gli impedivano di riposare
e beveva sempre di più. Nell'inverno 1919 "Zborowski" raggranellò un po'
di denaro per mandarlo a Nizza a curarsi, ma non valse a nulla. In
quell'epoca viveva in un piccolo appartamento con "Jeanne Hébuterne" e la
loro bambina. A poco a poco i suoi quadri cominciavano a vendersi, e
tutti noi speravamo che potesse ancora raggiungere un'esistenza più
ordinata e maggior fortuna. E invece, nel gennaio 1920, "Kisling" ci portò
la terribile notizia della sua morte.
Era stato portato all'ospedale, e il giorno
dopo se ne era andato. Ci dissero che mentre lo trasportavano
all'ospedale, continuava a ripetere: "Italia, cara Italia!" e che negli
ultimi momenti di coscienza lottò disperatamente per tenersi in vita,
balbettando versi nel delirio. E poi giunse la tragica notizia del
suicidio di "Jeanne Hébuterne". Era incinta di quasi nove mesi di un altro
figlio di Modigliani, e quando arrivò nella camera mortuaria
dell'ospedale si gettò su Modigliani, coprendone il viso di baci. Lottò
con gli inservienti che volevano trascinarla via, sapendo quanto fosse
pericoloso per lei, che era incinta, toccare le piaghe aperte che
coprivano il viso di lui. Era una strana ragazza, esile, con un lungo
viso ovale che sembrava quasi bianco più che roseo, e i capelli biondi
raccolti in lunghe trecce: mi colpì sempre il suo aspetto molto gotico.
"Jeanne Hébuterne" andò da suo padre, era
stata ripudiata, perché viveva con Modigliani e si gettò dal tetto della
casa. La famiglia si oppose a che fosse sepolta accanto a Modigliani, ma
credo che in seguito siano stati riuniti. Considerando la bellezza di
Modigliani, non è difficile capire come mai le donne ne andassero pazze:
"Jeanne Hébuterne",
"Beatrice Hastings" e altre di cui non conosciamo
neppure il nome, compresa la piccola studentessa che morì di tubercolosi
non molto tempo dopo la morte di Modigliani.
Non dimenticherò mai il funerale di Modigliani. Amici, fiori, i
marciapiedi affollati di gente che chinava il capo in segno di dolore e
di rispetto. Tutti sentivano nell'intimo che Montparnasse aveva perduto
qualcosa di prezioso, qualcosa di molto essenziale.
"Kisling" e Moricand, un amico, tentarono di fare la maschera mortuaria di
Modigliani. Ma la fecero assai male e vennero a chiedermi aiuto con una
quantità di pezzi rotti di gesso cui aderivano frammenti di pelle e
capelli. Ricomposi i frammenti e, poiché mancavano molti pezzi, dovetti
sostituire le parti mancanti alla meno peggio. Feci tuttavia dodici
calchi di gesso, che furono distribuiti tra la famiglia e gli amici di
Modigliani. Quando morì, Modigliani era tutt'altro che sconosciuto.
Parigi era piena di gente strana e sconcertante, molti dotati di talento
e alcuni di genio, ma egli eccelse sempre su tutti. E tra noi la sua
fama di pittore si era affermata, benché, come già ho detto, solo nel
1922 egli cominciasse a essere noto su un piano internazionale.
Fino a quell'anno "Zborowski" penò molto e affrontò parecchie difficoltà
per far conoscere al pubblico l'opera dell'amico. Ricordo due mostre che
"Zborowski" organizzò nel 1915 o 1916. Una fu allestita in un piccolo
negozio presso le Tuileries. e vi erano parecchi ritratti di "Zborowski"
eseguiti con il pesante impasto che più tardi Modigliani abbandonò. Ma
il tentativo più ambizioso di "Zborowski" mentre Modigliani era ancora
vivo, fu la mostra allestita nel 1917 nella galleria Berthe Weill in rue
Lafitte.
Per attirare l'attenzione del pubblico
aveva collocato nella vetrina quattro nudi. Sfortunatamente li vide per
prima la polizia, che obbligò "Zborowski" a ritirarli dalla vetrina. Venne
da me con il cuore spezzato. Aveva riposto in quella mostra tutte le sue
speranze e ora temeva che nulla avrebbe attirato la gente dalla strada
nella galleria. Propose di vendermi i quattro nudi per cinquecento
franchi; ma cosa avrei fatto di quattro nudi appesi alle mie pareti?
Qualche anno più tardi un nudo li Modigliani, forse uno dei quattro, fu
comprato da un collezionista francese per quasi un milione di franchi.
Pochi anni dopo la sua morte le opere di Modigliani erano avidamente
ricercate dai collezionisti, e il loro valore continuò a crescere.
Paragonata alla vita di un "Tiziano" o di un
"Michelangelo" la vita di
Modigliani fu un rapido lampo sfolgorante. Avrebbe dipinto altrettanto
bene se avesse vissuto una vita diversa, meno dissipata e più
disciplinata? Non so. Era consapevole delle sue doti, ma la vita che
condusse non la condusse a caso. La scelse. Una sera a pranzo notai
quanto apparisse malato. Mangiava in uno strano modo, quasi ricoprendo
il cibo di sale e pepe prima ancora di assaggiarlo. Quando lo esortai a
esser meno autolesionista e a mettere un po' d'ordine nella sua vita,
andò in collera come mai l'avevo visto prima.
Concludendo queste brevi note, vorrei dire che, pur essendo morto così
giovane, egli ebbe quello che voleva. Più di una volta mi disse che
desiderava una vita breve ma intensa, "Une lie brève mais intense".
*Jacques Lipchitz (1891-1973), scultore d'avanguardia
lituano, era un amico di Modigliani e, come lui, risiedeva a Parigi dal
1909 con la moglie Bertha. Il
ritratto, commissionato a Modigliani da
Lipchitz stesso, ritrae le due figure in posizione fortemente
asimmetrica: mentre la donna, dal sorriso gentile, è posta in basso a
destra come fosse seduta su un'invisibile sedia, Lipchitz si staglia in
tutta la sua altezza cingendo la spalla di lei.
Lo scultore fu tra i primi artisti a realizzare sculture in stile
cubista.
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